Apoptosi della malattia di Alzheimer studiata nelle piastrine

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 27 febbraio 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’elemento che distingue nel decorso le deposizioni benigne di amiloide dalla neurodegenerazione della malattia di Alzheimer è la progressiva, massiccia e inesorabile perdita di cellule nervose. In quella che si considera la più grave patologia con decadimento intellettivo dell’età avanzata, si verifica disfunzione e morte per apoptosi e necrosi[1] di specifiche popolazioni di neuroni implicate nella memoria, nella cognizione e nei processi di pensiero cosciente implicanti riflessioni su se stessi. Inizialmente, la perdita di neuroni colinergici del proencefalo e di popolazioni dell’ippocampo sembra poter essere compensata con qualche limite, che genera sintomi lievi e incostanti; ma poi, col progredire del processo patologico, si determina atrofia corticale estesa a tutti i lobi dell’encefalo, con gliosi e dilatazione ex-vacuo dei ventricoli che evidenzia la grave riduzione del parenchima cerebrale per la perdita di centinaia di milioni di cellule nervose.

Oggetto di numerosi studi è la via dell’apoptosi, o morte cellulare programmata, per il suo ruolo specifico nella perdita di neuroni nella neurodegenerazione alzheimeriana, e per la possibilità teorica di arrestarne il corso. I modelli sperimentali murini della malattia costituiscono l’ambiente biologico prevalente per lo studio di questi processi, anche se la distanza da quanto realmente accade nelle cellule nervose dell’encefalo umano ammalato rimane notevole. Per tale ragione, la possibilità di studiare questi processi in cellule umane diverse dai neuroni rimane una pista per la ricerca seguita in vari laboratori. Le piastrine si sono rivelate idonee per indagare meccanismi patologici che hanno luogo nel cervello, Zhao e colleghi hanno perciò realizzato un progetto sperimentale con lo scopo di verificare queste due ipotesi di lavoro:

      1) se gli eventi apoptotici anomali descritti nella patologia della malattia di Alzheimer, oltre che nel sistema nervoso centrale possono aver luogo in una sede periferica, al livello delle piastrine dei pazienti;

      2) se l’apoptosi al livello periferico delle piastrine comincia nella fase precoce della demenza neurodegenerativa.

Il lavoro sperimentale, esposto in un articolo qui di seguito riassunto, ha dato luogo a risultati degni di nota (Zhao S., et al. Increased apoptosis in the platelets of patients with Alzheimer’s disease and amnestic mild cognitive impairment. Clinical Neurology and Neurosurgery – 143: 46-50, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neuro rehabilitation, Capital Medical University School of Rehabilitation Medicine, China Rehabilitation Research Center, Beijin (Cina); Department of Neurology, Shanghai Jiatong University Affiliated First People’s Hospital, Shanghai  (Cina).

Spesso la malattia di Alzheimer è preceduta da una fase più meno lunga etichettata con la sigla MCI, da mild cognitive impairment, e caratterizzata da riduzioni delle prestazioni della memoria dichiarativa lamentate dal paziente, che trovano corrispondenza nel profilo di un lieve decadimento cognitivo rilevato agli esami condotti mediante l’uso delle batterie di test clinici standard validati su grandi numeri. In questa fase le attività della vita quotidiana sono conservate, mancano sintomi diacritici di demenza e nelle interazioni sociali la persona appare di intelligenza nomale, e tale è considerata in ogni rapporto. Con l’avanzare del processo patologico cominciano ad evidenziarsi le prime manifestazioni clinicamente rilevanti. Mentre la MCI può considerarsi una fase di transizione fra il normale invecchiamento cerebrale e la demenza, il progredire della perdita non compensata di neuroni genera lacune funzionali all’origine di sintomi sempre più evidenti. Il difetto di memoria non riguarda più solo i termini di denominazione (amnesia nominum), dati o nozioni apprese di recente (memoria semantica attuale) e singoli episodi non cruciali di vita vissuta (lieve difetto di memoria episodica), ma si estende a conoscenze consolidate, esperienze importanti e comincia a riguardare le strutture concettuali che organizzano i ricordi e ne consentono il recupero e l’utilizzo mediante strategie logiche coscienti.

Poco per volta, il difetto comincia ad intaccare i contenuti astratti e valoriali che appartengono allo specifico profilo d’identità della persona, che sembra perdere proprie convinzioni profonde, preferenze e giudizi connessi con esperienze e apprendimenti significativi e consolidati nel tempo o derivanti da abitudini radicate. Sembrano indebolirsi o perdersi tratti di personalità associati a stile culturale, esperienza religiosa e idee politiche. Aumentano le difficoltà mnemoniche, che non riguardano più solo i contenuti derivanti dai processi specializzati dei sistemi neuronici che contribuiscono alle funzioni cognitive tipiche della coscienza dichiarativa, ma interessano l’insieme delle tracce lasciate nel cervello da percezioni, emozioni, affetti, stati d’animo, condizionamenti e abitudini, che normalmente compongono l’insieme di ciascuna esperienza di vita e che sono soggette, in condizioni fisiologiche, ad automatiche evocazioni parziali o integrali dettate dalle circostanze[2].

I due contrassegni patologici descritti già nel 1907 da Alois Alzheimer, ossia la degenerazione neurofibrillare intraneuronica e la formazione di placche amiloidotiche neuritiche extracellulari, sono stati descritti decine di volte, e in qualche caso in estremo dettaglio, negli scritti che compaiono su questo sito web, ai quali si rimanda per il loro studio molecolare. Qui si vuole ricordare che, pur avendo dimostrato il legame fra la patogenesi di queste lesioni e l’avvio dei processi che determinano la distruzione del tessuto cerebrale, la ricerca non è ancora riuscita ad arrestare la progressione della malattia mediante l’arresto dei processi che portano i peptidi amiloidogenici ad innescare la formazione delle placche e ad influenzare le alterazioni intracellulari della proteina tau che portano alla formazione dei filamenti appaiati ad elica e alla degenerazione neurofibrillare. Tale empasse giustifica un accresciuto interesse per la possibilità di bloccare il processo apoptotico a fini terapeutici.

Lo studio di Zhao e colleghi è stato realizzato con la partecipazione di 150 volontari ripartiti in tre gruppi di 50:

          1) pazienti affetti da sintomi amnesici rientranti nei criteri della categoria MCI;

          2) pazienti affetti da malattia di Alzheimer clinicamente espressa;

          3) volontari sani equivalenti per età ai partecipanti ammalati.

 

I ricercatori hanno verificato se le alterazioni riguardanti la famiglia proteica delle caspasi e della famiglia delle Bcl2 possono essere rintracciate nelle piastrine delle persone affette da malattia di Alzheimer e in quelle diagnosticate di MCI. Per analizzare il livello delle caspasi e delle Bcl2 è stato impiegato il western blot.

I risultati hanno mostrato un confortante riscontro nelle cellule del sangue: i livelli di caspasi-3, caspasi-9, Bad e Bax erano significativamente più alti nelle piastrine dei pazienti affetti da malattia di Alzheimer e nei volontari amnesici rientranti nella diagnosi di MCI. La proteina anti-apoptosi Bcl2 era aumentata nei pazienti amnesici MCI, mentre era decisamente diminuita negli affetti da malattia di Alzheimer.

Le conclusioni tratte dagli autori dello studio sulla base dell’insieme dei dati emersi dalle osservazioni, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura del testo integrale del lavoro originale, si possono così sintetizzare: esiste un’accresciuta apoptosi nelle piastrine delle persone affette dalla neurodegenerazione che sembra rispecchiare quella riscontrata nel cervello. L’apoptosi anomala può apparire nella fase iniziale della malattia, e la ratio fra i livelli di proteine pro-apoptotiche ed anti-apoptotiche parzialmente determina la suscettibilità delle piastrine al segnale di morte.

Secondo quanto emerso da questo studio, e in attesa di altre verifiche, le piastrine possono costituire un buon modello per lo studio delle vie dell’apoptosi nella malattia di Alzheimer.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-27 febbraio 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Ricordiamo sommariamente i caratteri distintivi delle due modalità. Apoptosi: riduzione del volume cellulare; integrità degli organuli; mantenimento dei livelli di ATP; mantenimento dell’omeostasi ionica; formazione di anse nella membrana plasmatica; condensazione/frammentazione della cromatina nucleare; richiede sintesi di specifiche proteine effettrici; può essere arrestata bloccando passi della cascata di reazioni; non interessa le cellule circostanti. Necrosi: rigonfiamento cellulare; rigonfiamento e danno degli organuli; perdita di ATP; perdita dell’omeostasi ionica; rottura della membrana; lisi nucleare; cessazione della sintesi proteica; è irreversibile e non può essere evitata bloccando un passo del processo; promuove la morte delle cellule circostanti.

[2] Cfr. G. Perrella, La malattia di Alzheimer, BM&L-Italia, Firenze 2003.